La mediatrice
che vorrei mettere in campo dovrà unire competenze e conoscenze di
mediazione interculturale e interreligiosa, dovrà sfruttare le conoscenze e gli
strumenti dati dall’antropologia culturale (materia che dovrebbero inserire
anche a scuola, a mio avviso), e infine uno strumento pratico come lo Yoga,
(cominciamo sfatando un mito: si dice LO Yoga e non LA Yoga!).
Come fare? Che
mediatore si diventa e cosa saprebbe fare di diverso?
Partiamo dai
punti base su come si dovrebbero gestire i conflitti:
- Conoscere se stessi: loYogin (o la
Yogini nel mio caso), deve necessariamente affrontare la ricerca del Sé, deve
lavorare sulla conoscenza di se stesso, nel bene e nel male, armandosi di
umiltà e sincerità. Negli 8 mezzi di Patanjali (codificatore dello Yoga di cui
non si sa l’anno esatto di nascita ma si è certi che sia vissuto tra il II
e I sec. a.C. e il I e II sec. d.C., autore della “Bibbia” dello Yoga, ovvero
lo “Yoga Sutra”) i primi 2 mezzi (ovvero i primi due gradini del percorso dello
Yoga, che lui ha descritto e creato per fornire uno strumento al praticante,
che racchiudesse lo Yoga in un sistema concreto, completo e soprattutto non
arbitrario), trattano proprio dell’atteggiamento che la persona dovrebbe
mantenere, prima ancora di praticare Yoga, sia nel rispetto del prossimo che
nel rispetto di se stesso, e questi sono:
Yama (i 5 comportamenti da evitare):
non violenza, non appropriazione indebita, non falsità, continenza sessuale,
non possessività;
Niyama: (i 5 comportamenti da
adottare): purezza, accontentamento, aspirazione interiore, studio e conoscenza
delle Sacre Scritture, e quindi del proprio Sé, abbandono al Signore.
Penso che questi
precetti possano non solo arricchire la vita di chiunque, se seguiti
quotidianamente, ma anche porsi come ponte fra ogni cultura e religione,
rappresentando (in senso anche antropologico), una visione teista della vita,
che non contraddice nessuna religione, soprattutto perché non porta il nome di
nessun Dio, non tenta quindi di influenzare pensieri e opinioni personali.
- Empatia, va da sé, che nessun mediatore
potrebbe essere privo di empatia, così come un insegnante di Yoga deve cercare
di comprendere i bisogni dei suoi allievi, anche laddove questi non esprima il
suo pensiero ad alta voce.
- Il corretto uso e il buon ascolto della
comunicazione verbale, paraverbale e non verbale. Questa capacità, da
acquisire e da migliorare tutta la vita, ben si sposa con l’empatia e con ogni
tipo di insegnamento si voglia intraprendere.
- Problem Telling: rappresentare quello
che voglio dire mantenendo il rispetto verso l’altro, lo stesso livello
relazionale, usare l’ironia, dare
priorità alla persona, piuttosto che al problema, visione olistica della persona.
Quando si
insegna ai propri allievi, si deve cercare di spiegare loro concetti
molto “astratti”, molto forti e pregni di contenuto, e bisogna farlo
sapendo di trovarmi davanti persone di estrazione culturale e sociale diversa,
di apertura mentale differente, di livelli di scetticismo differenti e si deve
cercare di usare parole comprensibili a tutti, fare esempi concreti, dando
spazio anche alle loro opinioni, ai loro dubbi, alle loro domande. Suscitando
curiosità, e a volte anche sana perplessità.
Quello che sto
constatando insegnando Yoga è che, a differenza di altre materie, questa
colpisce l’inconscio e ha quindi un potere su noi stessi molto più forte di
qualunque altro tema, per quanto interessante, per quanto importante per noi.
La personalità viene fuori, affiora sul velo dell'acqua.
L’accettazione è
uno dei passi dello Yoga, e presuppone la continua auto-introspezione, penso
che questo valga anche per il mediatore, che altrimenti rischia di cedere al
giudizio, di prendere le parti di quello che gli sembra il più debole, di
soffrire portandosi le croci di tutti, e infine di cadere in burnout.
Quello che mi
prefiggo professionalmente è di unire questi due ambiti: la mediazione e lo
Yoga, e in questo blog vorrei proporre idee, progetti, materiale da cui
prendere spunto, per rendere concreto questa unione.