mercoledì 15 luglio 2015

YOGA ED ESCHER: COSA HANNO IN COMUNE?

Quando cominci a vivere "di" Yoga e "nello" yoga, non importa se sei esperto o principiante, è l'attitudine che importa.. non importa se sei bravissim* a svolgere Asana complicate oppure no, quello che importa è l'atteggiamento e la visione del mondo che cambia...
Allora, improvvisamente o lentamente, cominci a "leggere" le cose accanto e attorno a te in modo nuovo, con una nuova luce, sotto una nuova lente d'ingrandimento, nuovi occhiali che ti permettono di vedere il mondo "attraverso lo Yoga".. Ed ecco allora che il mondo cambia di aspetto, colore e consistenza.. Come quando guardi un quadro, e questo quadro ti rapisce, ti parla, ti sembra quasi di toccarlo e di trovarti dentro, ecco quel quadro ha una consistenza diversa per te, da qualunque altra immagine artistica..
 
Ma cosa c'entra Escher con lo Yoga?
 
Escher aveva occhi speciali per guardare il mondo.. la sua non era solo un'osservazione matematica riportata su carta, anche perché le sue opere sono state studiate e spiegate attraverso teorie matematiche che spesso lui ammise di non conoscere neppure.. Giochi di illusione ottica, forme impossibili, la realtà prende vita nell'opera di Escher in modo nuovo, bizzarro eppure così logico e perfetto all'interno del suo mondo.
 
 
Ecco Escher ci ha spiegato (involontariamente, come le formule matematiche che non conosceva) il concetto di Māyā.
 
 

Gli appezzamenti del campo agricolo diventano colombe, non vengono disegnate bianche o nere, siamo noi che le vediamo così, rilevando i vuoti bianchi attorno alle nere e i vuoti neri attorno alle bianche. Si fondono con gli appezzamenti, nascono da lì per una semplice mutazione della forma, un gioco che potrebbe continuare all'infinito.. perché come disse mio figlio visitando con me la mostra di Escher: "Escher disegna sempre e solo l'infinito".
 
 
 
Ecco Māyā è questo: l'illusione, lo scambiare "la corda per il serpente" (per dirla con le parole di Śaňkara che lo scrisse nel Vivekacūdāmaņi), il "come noi vediamo il mondo, ma il mondo non è". (per dirlo invece con parole mie).
 
 
 
La parola Māyā, dal sanscrito, significa "magia, trucco, arte e artificio, inganno, illusione". Non si riferisce però ad un'opera d'arte ma alla realtà del mondo che ci circonda. E' la nostra "ignoranza metafisica" che ci porta a vedere le cose in modo diverso, a immaginare l'energia e la materia di una consistenza che in realtà non hanno. Un'ulteriore definizione di Māyā  è: " Tutto ciò che, essendo modificazione (vritti), nasconde la realtà all' Atman.
Per mezzo della Māyā l'universo appare ai nostri sensi e la mente tenta di interpretarne l'apparenza".
 
 
 

 

venerdì 10 luglio 2015

LA FEMMINILITA' NELLA DANZA E LA DANZA NELLA FEMMINILITA'

mercoledì sera ho partecipato al Festival Culture del Mondo, ed. 2015 a Castenaso (BO): il bellissimo  DILA MELA, che vi invito ad andare a vedere, stasera è l'ultima occasione!
 
Al Festival ho avuto il piacere di avere una decina di bambini ricoperti di brillantini che, dopo aver risvegliato il corpo con un saluto al sole, hanno creato coloratissimi mandala con sabbia colorata e brillantini luccicosi di tantissimi colori..
 
Terminato il laboratorio di yoga per bambini sono cominciati gli spettacoli di danza indiana, è stato molto interessante vedere una kermesse così completa di diversi stili di danza, ogni stile indica una cultura, un zona di origine, e di conseguenza un abbigliamento, dei colori, gioielli, trucco e parrucco adeguato, una musica e degli strumenti specifici di quella zona dell'India.
L'India è così ricca e variegata che è impressionante vedere quanti stili di danza e musica si possono esprimere. Quello poi che affascina di più è vedere come ogni stile esprima una femminilità diversa, un modo di comunicare la propria origine, la propria cultura e il proprio territorio in modo unico.  Il territorio dove viviamo, infatti, mi parla e mi insegna a parlare... nel deserto danzerò e vestirò in un determinato modo, diverso da quello di chi proviene dalle rumorose metropoli indiane come Bombay o Delhi. Ad esempio potete vedere queste immagini di stupende ballerine di danza Kalbeliya:
 
 

 
La danza kalbeliya, dall'omonima tribù del Rajasthan, ci arriva nella sua attuale forma dagli anni '80. La danza consiste in movenze vigorose e a tratti invece più delicate. La danzatrice si muove nello spazio con giri vorticosi, che fanno danzare anche le sue vesti, composte da una gonna e un corpetto neri decorati da specchietti, gioielli, nastri e altre decorazioni. L'abito è rappresentativo dell'appartenenza alla tribù. I suoni della musica che accompagna la danza, così come i movimenti e le espressioni della danzatrice ricordano lo stile gipsy: hanno sapore di deserto, popolazioni nomadi e sole splendente, che si riflette sugli specchietti che adornano la ballerina. Si incontrano qui culture e sapori di terre lontane, è tangibile come questa danza sia frutto di incontri tra mondi culturali che fanno capo alle stesse radici, alla stessa terra, alla stessa sabbia del deserto.
 
Ed ecco invece lo stile metropolitano, che richiama movenze, femminilità e gestualità più occidentalizzate, seppure ancora di sapore orientale. Una danza che sembra nata per lo schermo, per lo stupore, per i fuochi d'artificio e la grande seduzione di massa: è Bollywood!
 
 



 
Questa danza racconta, narra e mima.. come tutte le danze in India narra temi legati alle passioni e alle avventure umane, virtù e difetti che legano tutti noi: passione, gelosia, gioia, amore, tristezza, paura, speranza. Rifacendosi alle imprese eroiche di epopee indiane, come il Mahabarata e il Ramayana, questa danza si fonda con la modernità e la cinematografia, creando una rappresentazione dell'India moderna, al passo con i tempi e alla ricerca dello stile occidentale, seppur legata alle proprie tradizioni e alla propria filosofia. Compaiono ancora i Mudra (gesti sacri e simboli fatti con le mani, usati nello Yoga e nella danza più tradizionale e classica Bharatanatyam).
In questa danza incontriamo, oltre che una narrazione, anche una femminilità che fonde l'arcaico con il moderno, il classico con il folk, l'elegante con il kitch. Osservando le bellissime ragazze che ho visto danzare ho notato come potevano esprimere liberamente la loro femminilità e carica sensuale in modo non volgare, ma anzi molto gioioso e giocoso. Ho apprezzato come il corpo non fosse vissuto come una zavorra, qualcosa da nascondere, ma come la danza potesse far uscire l'autostima e la bellezza di tutti noi, a prescindere dal canone di estetica a cui siamo abituati. Ma probabilmente questo andrebbe applicato ad ogni stile di danza!
Penso che per noi occidentali, quelli non esperti di danza, qualunque essa sia, il Bollywood possa rappresentare una interessante alternativa a tanti corsi che potete trovare in palestra, dalla zumba a chi più ne ha più ne metta, donandoci lo stesso divertimento, la stessa gioia di vivere e di esprimerci, con in più una storia alle spalle che narra di eroi ed eroine, dei, simboli sacri e una ricca cultura spirituale propria dell'India.
 
Infine la danza classica per eccellenza:
Il Bhārata Nātyam è la più antica forma di teatro danza sacra originaria del Sud dell’India. Le sue origini risalgono addirittura al secondo millennio a. C. e attinge al repertorio mitico hindu, in cui le gesta degli dei vengono riproposte con un preciso linguaggio corporeo, codificato a cavallo della nostra era nel Natyashastra, un ampio trattato sulle arti del dramma, della musica e della danza. La tradizione conferisce al Bhārata Nātyam origini divine e, non a caso, in India una delle divinità più importanti è Shiva investe di danzatore cosmico, ossia Shiva Nataraja, il Signore della danza. Tutt’oggi milioni di devoti non riescono a concepire la vita dell’universo senza l’energia sprigionata dalla danza del dio. Il termine Nātyam in sanscrito signifca danza, Bhārata è invece un acronimo delle tre parole BHAva (espressione), RAga (melodia), TAla (ritmo).
Lo stile noto come Bhārata Nātyam è infatti una perfetta sintesi di questi tre elementi.
La danzatrice, o il danzatore, attraverso i movimenti e l’espressività del proprio corpo racconta storie di dèi e di eroi. La vita in tutte le sue forme viene rappresentata attraverso questa meravigliosa forma di yoga in movimento nella quale anche gli occhi danzano.
Il Bhārata Nātyam coinvolge corpo, mente e spirito: la gioia di vivere accompagna il danzatore e lo spettatore!
 
 
 
 
(foto di Mauro Sebregondio)
 
 

mercoledì 8 luglio 2015

COME AVVIENE LA MEDITAZIONE ATTRAVERSO IL MANDALA?

Stasera i bambini che parteciperanno al laboratorio "Yoga e Mandala" a Castenaso (BO)  avranno modo di sperimentare cosa sia un mandala, come si costruisce e perché è usato per la meditazione.
 
Mandala, dal sanscrito, significa "circolo, cerchio, ruota (cakra), disco, orbita". Il mandala è un diagramma mistico che può essere usato per la meditazione attraverso la concentrazione su di esso (così come sugli Yantra) in quanto richiama degli archetipi che giacciono sonnolenti dentro di noi, pronti però a risvegliarsi se richiamati dal suono giusto. Infatti la meditazione attraverso la visualizzazione di una forma (Rupa) avviene assieme alla ripetizione di mantra (Japa) ad esso collegato. Questo accade in quanto il mandala è un cosmogramma simboleggiante un particolare stato di coscienza che viene quindi risvegliato meditando su di esso.
 

 
 
Come meditano i bambini?
L'uso del mandala nelle lezioni di yoga per bambini è diversificato, le tecniche artistiche e la fantasia su come usare un mandala ha fine sono quando avrà fine la nostra creatività! Stasera in particolare, cercherò di far vivere ai bambini la vera tradizione del mandala, dandogli il materiale per poterne creare uno con la sabbia colorata.. ovviamente, essendo un  mandala per loro, ci saranno anche tanti glitter luccicosi, e non distruggeremo il mandala dopo averlo creato, come la tradizione insegna, ma lo porteremo a casa come un prezioso amuleto di pace e serenità!
 
Vi aspetto quindi stasera alle 20.45 a Casa Bondi, Castenaso, per la Festa del Cuore dedicata all'India, leggete tutto il programma, è davvero ricco, sia per adulti che per bambini! L'ingresso è gratuito, il festival comincia stasera e terminerà venerdì sera.
 

 
 


giovedì 2 luglio 2015

COME IL FIUME SARASWATI SCOMPARVE

Un fiume scompare per fuggire ad una maledizione e un uomo saggio che sa quando è utile e necessario infrangere le regole diventa il portatore di una cultura che altrimenti si sarebbe persa per la troppa dedizione alla regola rigida che, appunto, in caso di emergenze non permette ma esige che le regole vengano infrante, che la creatività personale nutra e dia sostegno al sistema, non rinnegando le regole, ma riposizionandole al loro giusto ruolo, dandogli quindi un significato ben più profondo che una semplice adesione per formalità.
 
Ma cosa successe al fiume Saraswati?
 
Secondo i racconti mitologici alla Dea Saraswati venne chiesto di condurre il saggio Vashishta presso il saggio Vishwamitra. Lei si oppose a quello' ordine perentorio, detestando l'idea di doversi schierare per uno o l'altro.. si trattava di Rishi dell'Himalaya, grandi saggi, e Saraswati  preferiva rimanere imparziale e lasciare a loro le dispute personali.
 
Vishwamitra per punizione maledisse Saraswati, le cui acque divennero sangue. E lei, per fuggire a questa sorte, si nascose sotto la terra, diventando un fiume fantasma, che tuttora non scorre più in India.
 
La sua valle patì la sete e la fame, i bramini che erano vegetariani, senza più acqua, non riuscivano a sopravvivere, la siccità infatti oltre a non dargli acqua non gli permetteva neppure di coltivare le piante necessarie al loro sostentamento. Le pene della gente tolse alla popolazione ogni forza, e i bramini non riuscirono più a dedicarsi allo studio dei Veda, i testi sacri, tanto che poco alla volta li dimenticarono.
 
Fra questi bramini c'era però il figlio della dea, Saraswata. La Dea, come fiume sotterraneo, incontrò di nascosto il figlio e gli disse che avrebbe continuato a nutrirlo, dandogli un pesce al giorno dalle sue acque sotterranee.
Il figlio riuscì così non solo a vivere, ma anche a rimanere forte e proseguire con gli studi.
Il pesce, così come la carne e tutti i suoi derivati, sono cibi proibiti, ma la situazione era tragica, e necessitava anche di una soluzione alternativa!
E così, terminata la siccità, quando i bramini si resero conto di aver dimenticato i Veda, pensarono di andare da lui a farseli insegnare, ma uno di loro disse: "No, lui è un peccatore, ha mangiato pesce, imparando da lui diventeremmo peccatori anche noi".
Ma un altro rispose: "Colui che conosce i testi sacri non può essere un peccatore. Ha fatto la cosa giusta: è sopravvissuto senza nuocere nessuno. E' questo il dovere dell'uomo: cercare di rimanere in vita senza deviare dalla retta via".
E così fu.
Saraswata insegnò i Veda ai bramini, e ancora oggi esistono i bramini Sarswat, discendenti dei discepoli di Saraswata.