Ogni
giorno sentiamo notizie riguardanti sbarchi di immigrati, clandestinità, flussi
migratori, frontiere aperte e frontiere chiuse, convezione di Dublino, accordo
di Schengen, e così via. Ma il più delle volte quello che sentiamo o leggiamo è
determinato e contaminato da rabbia, insofferenza e uno stato di malessere e
stanchezza generale dell’opinione pubblica, che genera il più antico degli
sfoghi: ossia il capro espiatorio.
L’immigrato, e politicamente l’immigrazione, è il capro
espiatorio per eccellenza della nostra epoca, ma a differenza di quanto si
pensi non è una dinamica nata nel nostro secolo, e neppure in quello
precedente. L’immigrazione è un diritto dell’uomo, non guadagnato grazie alla
Rivoluzione Francese o alla spedizione dei Mille, ma un diritto intrinseco
nella natura stessa dell’essere umano, infatti l’uomo ha sempre migrato, da
quando è comparso sulla terra. Solo grazie a questi spostamenti ha dato vita
alle varie popolazioni e culture così come noi oggi le conosciamo, e ne
ammiriamo le differenze e peculiarità.

“Migrare è una caratteristica di molte specie animali, uomo
compreso. Gli individui umani da tempo immemorabile si sono mossi in gruppi di
luogo in luogo alla ricerca di alimenti o per evitare pericoli. Leggende e
resti archeologici diversi dimostrano le tracce di antichi movimenti. La
diffusione stessa dell'umanità primitiva dalla culla africana all'Eurasia è un
fenomeno migratorio che col passare delle generazioni ha plasmato le diverse
popolazioni adattandole alle differenti condizioni ambientali. I fenomeni
migratori hanno trasformato le terre e i continenti e la composizione
biologica, etnica e linguistica dei loro abitanti.” [1]
Su questo tema molto importante e di grande attualità, Terra
Nuova ha intervistato Flaviano Bianchini, direttore e fondatore di Source
International, organizzazione che collabora con comunità che affrontano casi di
inquinamento ambientale e danni alla salute, specialmente legati ad industrie
estrattive ma anche autore del libro-testimonianza “Migrantes”, [2]con
il quale l’autore ci ha raccontato il suo viaggio verso il sogno americano.
Flaviano ha intrapreso un lungo e pericoloso viaggio durato 21
infiniti giorni, è partito dal Guatemala, ha attraversato tutto il Messico
collezionando 4000 km di cammino, per raggiungere infine l’America, il sogno
proibito di ogni clandestino sudamericano. Giorno dopo giorno si è confrontato
con la drammatica e difficile realtà di ogni immigrato. Ha rischiato la vita
ogni giorno, ad ogni passo lungo il suo cammino. I 4000 Km che ti dividono
dalla libertà (o presunta tale), è costellato di bande locali,
narcotrafficanti, polizia corrotta, ostacoli geografici e climatici come il
deserto, la foresta, cime montuose che toccano addirittura i 4000 metri di
altitudine, il caldo e il freddo. La polizia locale è pagata dagli Usa per
gestire e ostacolare il viaggio dei clandestini, ma sostanzialmente solo la
polizia di frontiera ha la facoltà di trattenere un clandestino, lasciando gli
altri 3000 km di strada in mano ad un corpo di polizia che arresta per qualche
giorno i clandestini per derubarli, sfruttarli e demotivarli nelle loro
intenzioni. Solo il 20% delle persone che intraprendono il viaggio arriva poi a
destinazione: molti abbandonano, molti muoiono, altri non se ne conosce il
destino. Come se non bastassero la polizia e i generali che raccolgono tutto il
denaro rubato agli immigrati in viaggio, altri pericoli si nascondono dietro
alle bande e al narcotraffico: moltissime persone vengono uccise, rapite,
obbligate al trasporto di stupefacenti oltre frontiera, venduti al mercato
della prostituzione, una donna su sei viene violentata… si calcola che ci siano
ben 150.000 perdidos all’anno. Giunti nella zona di frontiera ci si trova a
dover affrontare l’ultima, forse la più pericolosa delle prove: attraversare il
deserto, unica zona frontaliera priva del muro che divide fisicamente l’America
centrale dall’America del nord. Si tratta di un viaggio nel viaggio, proprio
per la sua pericolosità, quasi una scena di un film, purtroppo fattosi realtà:
ci aspettano tre giorni e tre notti di fuga, di corsa nel deserto, seguendo una
guida che porterà al di là del confine solo chi riuscirà a mantenere il passo e
a non perdere la via. Il gruppo di Flaviano era composto da 25 persone, lui
compreso, e solo 19 sono giunte a Tucson, dall’altra parte del confine. Oltre
ai pericoli del deserto, ci sono appostati sul confine, i cosiddetti “Minute
Man”, fondamentalisti esaltati che grazie ad un inghippo legislativo hanno la
legale facoltà di sparare a vista alle persone che tentano di attraversa il
confine, facilitando in fin dei conti il lavoro della polizia di frontiera. Un
incubo nell’incubo, una scena che potremmo immaginare solo all’interno di un
video gioco, e che invece la follia umana fa diventare realtà, e per di più non
condannabile neppure dalla giustizia civile di quei paesi che riteniamo
“liberi” e sviluppati. Proprio quei paesi verso cui gli immigrati corrono,
nella speranza di un futuro migliore, democratico e giusto.
La storia di Flaviano è una testimonianza che accende nuovamente
i riflettori sui paradossi umani, sul concetto di libertà, che si divide tra
ciò che riteniamo sia la nostra libertà e ciò che invece ci è concesso dalla
cultura, dalla politica o dalla religione del paese in cui nasciamo. Libertà
non è un concetto uguale per tutti, non è un diritto accessibile a tutti, e
sicuramente molte persone danno la vita alla ricerca di essa.
Il libro:
Flaviano Bianchini “Migrantes. Clandestino verso il sogno
americano”, Edizioni Bfs, Pisa
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